“In Italia ora è legge il reato di femminicidio” dice lui, quasi distrattamente.
“Finalmente; era ora!” risponde lei, con interesse e soddisfazione, “Con tante donne morte per mano di fidanzati, mariti, ex compagni, hanno aspettato fin troppo!”
“Sì,” risponde lui, “ma c’è qualcosa che non quadra”. Poi aggiunge: “Pare che in Spagna la legge preveda che la parola di una donna in un processo abbia maggiore peso e valore di quella di un uomo”.
“In Spagna,” dice lei con ironia, “forse gli uomini mentono più delle donne!”
“Forse,” conviene lui, “ma anche se fosse, in un processo si confrontano, non un uomo generico con una donna astratta, ma un Pedro, magari incapace di mentire dopo aver giurato sulla Bibbia, con una Juanita mentitrice incallita.”
Lei ribatte: “Non so, ma qualcosa bisognava pur fare!”
“Nel codice non c’era il reato di omicidio?” interroga sornione lui.
“Sì,” risponde lei, “ma probabilmente il ‘femminicidio’ precisa circostanze, modalità, rapporti pregressi, aggravanti.”
“Be’,” dice lui, “anche l’assassinio di un vicino di casa per ragioni di confine impone di appurare circostanze, modalità, rapporti pregressi, aggravanti e attenuanti.”
“Per questo basta il reato di omicidio” puntualizza prontamente lei.
“Bisogna sempre vedere circostanze e legami affettivi,” aggiunge lui sornione, “giacché la legge contempla anche i casi di fratricidio, matricidio, parricidio, uxoricidio. Non bastava il reato di parricidio, che prevede aggravanti per i legami di parentela?”
“Non so se questi casi siano speciali solo per il nome,” riflette lei, “bisogna chiedere ai penalisti; credo di sì, ma oggi la gente vive rapporti affettivi senza istituzionalizzarli.”
Lui precisa: “Il parricidio, che non riguarda solo il padre, come sembrerebbe, ma qualsiasi parente stretto, prevede certamente l’aggravante in forza della parentela”.
“Te l’ho detto,” insiste lei, “oggi la gente convive, prima con uno, poi con un altro ecc.”
“Sì,” aggiunge lui, “oggi tutti vanno a letto con tutti, si consumano i rapporti con leggerezza e si è smarrito il senso dei legami”.
“Può darsi” ammette lei, “che sia necessario approfondire la questione, curare e sanare le relazioni.”
“Un noto intellettuale” risponde lui, “ha scritto che questa norma, il reato di femminicidio, serve a considerare più importante l’uccisione di una donna di quella di un uomo. Ora ci sarebbero assassinî di serie A e assassinî di serie B.”
Lei, convinta: “Non credo, credo invece che molto dipenda dal legame affettivo tra assassino e vittima, dal movente insomma: dal fatto che il carnefice si senta padrone della vittima”.
E lui, ironizzando sull’abuso di sottigliezze linguistiche in rapporto al sesso: “Va bene, l’‘omicidio’ riguarda gli uomini! Ok. Ma l’altro polo dell’umano non è ‘femmina’, è ‘donna’. E poi, perché l’uccisione di un uomo da parte di un orso o di una tigre non si chiama omicidio? E l’assassinio di una donna da parte di una donna è un femminicidio o no?”
“No, quello è omicidio!” replica pronta lei.
“Ma come,” ironizza ridendo lui, “‘omicidio’ non rimanda a ‘uomo’? In questo caso non c’è nessun uomo di mezzo!” E aggiunge, insinuante: “A meno che tra le due donne non ci fosse un legame affettivo anche di tipo sessuale!”
“Ma no; omicidio, omicidio;” risponde lei con tono che non ammette replica. Riflette un po’ e aggiunge: “Anche perché non mi pare ci siano molti casi di questo tipo”.
“Mettiamola come vogliamo,” riprende lui, “ma a me sembra che ci sia qualcosa che non quadra in questa nuova norma, sebbene individui un crimine diffuso.”
“Qualcosa non ti quadra perché sei un uomo” risponde ironica lei.
E lui: “Non discuto la gravità dell’uccisione di una donna, lo sai bene. Ma c’è un problema di equità e di logica, oltre che linguistico. Senti, come chiamiamo il caso dell’uccisione di un uomo da parte di una donna con movente simile a quello del femminicidio, femminicidio?”
“Omicidio” risponde prontamente lei.
“Vedi che c’è un problema logico e linguistico?” osserva lui, “Vedi che, come in Spagna e come sostiene l’intellettuale cui ho fatto riferimento prima, ora ci sono due pesi e due misure? Vedi che lontani, lontanissimi, da quel ‘maschio e femmina li creò’, perché l’una stesse ‘di fronte all’altro’, abbiamo perso la bussola? Vedi che la legge non affronta il problema?”
“Sì, la vita è complicata,” replica lei con tono sapienziale, “ma la realtà supera la fantasia.”
“A proposito di realtà,” aggiunge lui, “in questi giorni in Italia due donne hanno ucciso e fatto a pezzi un uomo. Una era la madre e l’altra la compagna del malcapitato.”
“Mamma mia!” esclama lei, spaventata e incredula insieme.
Lui riprende: “È vero, i legislatori sono spiazzati dalla realtà. Come chiamiamo questa situazione, omicidio doppio o, per applicare le aggravanti dei legami affettivi, in questo caso doppi e sessuali, ‘doppio femminicidio’?”
“Francamente, non saprei” conclude lei.
Lui riprende: “No, non ci siamo. Il legislatore saggio avrebbe dovuto completare il testo sul reato di femminicidio con le seguenti parole: ‘Lo stesso vale se la vittima è un uomo, in condizioni simili; si chiama ‘ominicidio’’”.
“Ma no,” protesta lei, “questo avrebbe complicato le cose.”
Lui prosegue: “Con questa specificazione lungimirante, anche il caso di un uomo che uccida un altro uomo, in condizioni analoghe a quelle del femminicidio, sarebbe stato contemplato: un ‘ominicidio’”.
Lei tace.
“Tra uomo e donna spesso si comincia con la seduzione,” medita lui, “si prosegue col potere e la strumentalizzazione reciproca, e si finisce con la forza bruta, passando accanto all’amore senza sfiorarlo.”
Fa una pausa e aggiunge: “E loro vogliono regolare questo coacervo di potenze con le leggi? La realtà supera la fantasia, sì, ma solo perché spesso il legislatore, pigro e miope, mette toppe a caso, in sintonia, come ha scritto quell’intellettuale, con lo ‘spirito del tempo senza Spirito’”.
Tommaso Cariati